È appena uscito per i tipi del
Saggiatore un curioso libro con 109 autori, il titolo di una commedia di Peppino de Filippo ed un sottotitolo un po' pretenzioso:
John Brockman (a cura di), Non è vero ma ci credo. Intuizioni non provate, future verità. Milano: il Saggiatore (2009). Edizione italiana di What we believe but cannot prove. Today's Leading Thinkers on Science in the Age of Certainty. New York: Harper Collins (2005).
La quarta di copertina recita:
I concetti di verità e prova rimessi in discussione in un'opera provocatoria e irresistibilmente arguta.
Accipicchia. John Brockman è il fondatore e (credo) presidente della
Edge Foundation, propugnatore della "terza cultura:"
The third culture consists of those scientists and other thinkers in the empirical world who, through their work and expository writing, are taking the place of the traditional intellectual in rendering visible the deeper meanings of our lives, redefining who and what we are.
Il riferimento è, naturalmente, alle famose "due culture" di C. P. Snow, che già nel 1959 si chiedeva come mai i letterati fossero considerati intellettuali e uomini di cultura, mentre gli scienziati no. Aveva ragione, e se ne continua a discutere ancora oggi.
C. P. Snow, Le due culture. Venezia: Marsilio (2005). Tr. it. di The Two Cultures (and A Second Look). Cambridge University Press (1964)
Brockman nel 1991 raccoglie un manipolo di ardimentosi uomini di scienze e di lettere (mica da ridere: personaggi del calibro di Murray Gell-Mann, Stephen Jay Gould, Roger Penrose) e riprende l'idea di Snow di una nuova terza cultura che in qualche modo medi tra le altre due. Il risultato di questo primo sforzo è (guarda un po') un libro, di cui esiste anche un'
edizione online.
John Brockman, La terza cultura. Milano: Garzanti (1999)
Torniamo però al libro in questione. Ogni anno
Edge pone una domanda alle più brillanti menti disponibili, e raccoglie le risposte in un libro; questo è quello del 2005. Ne sono stati tradotti anche altri, solo che in Italia sono tutti pubblicati da case editrici diverse; le edizioni originali, per inciso, hanno divertenti copertine un po' autoroniche e meno pretenziose. In questo caso la domanda era:
A volte le grandi menti riescono a intuire la verità prima di averne le prove o gli argomenti. Diderot lo definiva esprit de divination. In che cosa credi, anche se non puoi provarlo?
Gli interpellati si industriano a trovare qualcosa che sia allo stesso tempo brillante, illuminante, profondo, provocatorio, possibilmente contro corrente e che giustifichi la loro inclusione in questa lista di grandi menti, con alterni successi.
Così mentre il fisico teorico
Lee Smolin dichiara di credere che «la meccanica quantistica non sia una teoria definitiva», il solito sperimentale
Leon Lederman, in sostanza, crede che l'universo sia una figata; probabilmente hanno entrambi ragione. Michael Shermer di
Skeptic si dice convinto dell'esistenza della realtà fisica, mentre
Susan Blackmore ritiene che, nonostante l'apparenza del contrario «la verità sia che io non esisto affatto». Dev'essere l'effetto di anni passati a studiare parapsicologia.
Nicholas Humphrey manifesta la sorprendente opinione che la coscienza umana sia un trucco di prestidigitazione, mentre
Craig Venter, quello del genoma, crede che la vita sulla Terra sia il risultato di un
evento panspermico, e peccato che non ci sia anche
Kary Mullis tra gli autori.
Ora, come forse avrete capito, al prof. Sentimento Cuorcontento questi elenchi di menti brillanti non piacciono per principio (forse una delle ragioni è che, inspiegabilmente, non includono mai il prof. S. C. medesimo, salvo forse
The 2×107 Most Brilliant Thinkers of Our Age), e comunque il libro mica l'ha ancora letto tutto. Da quello che ha visto, però, vale probabilmente la pena di dargli una scorsa: alla fine è interessante, alcuni dei contributi sono in effetti brillanti, illuminanti eccetera, altri meno. Certo è che sicuramente «i concetti di verità e prova» non sono «rimessi in discussione», ma magari leggendolo fino in fondo qualcosa emergerà.
Tra l'altro, essendo diviso in capitoli non più lunghi di due o tre pagine, ha anche il vantaggio di potersi leggere agevolmente al gabinetto.