Dovete sapere che Il Mulino ha appena tradotto e pubblicato un piccolo saggio di Thomas S. Kuhn del 1987, con una presentazione della mia amica Paola Dessì. E chi è questo Kuhn, dirà magari qualcuno.
Thomas S. Kuhn, Le Rivoluzioni Scientifiche. Bologna: Il Mulino (2008)
Facciamo un passo indietro. Quando uno scettico vuole bollare qualcosa come “pseudoscientifico”, definitivamente e senza possibilità di redenzione, dice talvolta che è infalsificabile; tutti, o quasi, sanno che il concetto risale al filosofo Karl Popper. Nel riflettere sul “problema della demarcazione”, cioè dovendo trovare un criterio per decidere se una teoria sia o no scientifica, sir Karl negli anni trenta trovò l’ingegnosa soluzione secondo la quale un’affermazione ha legittimamente il suo posto nella scienza non se è verificabile, ma se è falsificabile. In altre parole, deve essere possibile trovare un esperimento o un’osservazione che ne possano dimostrare l’eventuale falsità, perché (data l’infinita variabilità della natura) non potrò mai dire di averla verificata in tutte le possibili situazioni. Ingegnoso, ma forse un po’ troppo semplice.
Prendendo Popper alla lettera, infatti, lo scienziato dovrebbe passare le sue giornate a “sfidare” le sue teorie, mettendole alla prova per cercarne i punti deboli: ma quando mai? Ci si rese rapidamente conto che il criterio della falsificabilità poteva essere un eccellente criterio logico, ma non descriveva per niente bene il funzionamento del progresso scientifico.
Nel 1962 Thomas Kuhn, storico e filosofo della scienza, pubblicò un libro ancora oggi considerato tra i più influenti nella filosofia della scienza del XX secolo, dall’agile titolo The Structure of Scientific Revolutions.
T. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago: Chicago University Press (1962). In italiano, della II ed. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino: Einaudi (1979).Kuhn dà una descrizione del cammino della scienza diversa da quella allora corrente, che rappresentava il progredire della conoscenza scientifica come un progressivo accumulo ed affinamento. Secondo Kuhn, questo è più o meno vero in periodi di scienza normale, in cui gli scienziati affinano la teoria dominante applicandola a casi particolari, scoprendone i dettagli senza metterla seriamente in discussione e avendo, di tanto in tanto, qualche sorpresa. Queste sorprese un po’ alla volta si accumulano, e la teoria comincia a fare acqua; nessun problema, liquidiamo come poco importante qualche fenomeno curioso, aggiungiamo qualche ipotesi ad hoc per spiegarne qualcun altro e tutto continua. Fino a che…
Dopo un po’, dice Kuhn, si arriva ad un periodo di crisi. L’insieme delle teorie dominanti, che (semplificando un po') costituisce il paradigma all’interno del quale gli scienziati operano e che usano per descrivere la natura, non è più soddisfacente. A questo punto qualcuno ha un’idea risolutiva e rivoluzionaria, che cambia completamente il quadro di riferimento: è nato un nuovo paradigma. Pensate alla rivoluzione Copernicana, o all’avvento della meccanica quantistica.
Il punto, fa notare Kuhn, è che il paradigma vecchio e quello nuovo sono incommensurabili: non si può arrivare da uno all’altro per piccoli e graduali aggiustamenti, si tratta di una vera e propria rivoluzione. Esistono un modo A e un modo B per descrivere il mondo, ma in mezzo non c’è niente che abbia senso.
Le tesi di Kuhn furono fin da subito oggetto di forti critiche, sia “tecniche” (sul concetto di incommensurabilità) sia perché l'idea di paradigma rovinava la visione un po’ mitica della scienza come un continuo miglioramento ed incremento. Non solo: gli scienziati perdevano un po’ della loro purezza e diventavano più simili ad esseri umani, attaccati alle loro convinzioni a volte anche contro la (moderata) evidenza del contrario. Apriti cielo. Tanto per dire, questa è attribuita all'austriaco Franz Kreuzer:
Da lui viene l'epistemologia dei «paradigmi». Egli dice che la scienza è un patto di una mafia scientifica, che viene sostituita da quella successiva.In realtà anche Kuhn si rende conto dei problemi; come fa notare Paola Dessì nella presentazione, quasi tutto il suo lavoro successivo è mirato a migliorare e precisare la teoria e già nella seconda edizione del libro (siamo nel 1968) aggiunge un poscritto in cui precisa il concetto di paradigma e risponde ad alcune obiezioni ed accuse, tra cui quella di avere una visione "relativista" della scienza mossa anche (se ho capito giusto) dallo stesso Popper. Conclude:
Scientific knowledge, like language, is intrinsically the common property of a group or else nothing at all. To understand it we shall need to know the special characteristics of the groups that create and use it.Successivamente, Kuhn definisce sempre più il cambiamento di paradigma come un cambiamento di linguaggio: cambia il vocabolario con il quale gli scienziati descrivono la natura, ed in particolare cambia il modo nel quale le parole di questo vocabolario fanno riferimento agli oggetti. Nel piccolo saggio da cui siamo partiti, Kuhn presenta quest'ultima versione della sua tesi attraverso tre esempi: il passaggio dalla fisica aristotelica a quella newtoniana, l'interpretazione della pila di Volta e la rivoluzione quantistica. Vale la pena leggerlo, anche solo come piccola introduzione al pensiero kuhniano per non esperti.
A questo punto abbiamo due teorie: una che fornisce un criterio di demarcazione facile da capire ma che descrive abbastanza male il lavoro degli scienziati, e un'altra che descrive in maniera innovativa il progredire della scienza, ma non mi aiuta se voglio capire come si distingue la pseudoscienza. Che si fa?
Nella prossima puntata: Imre Lakatos!
4 commenti:
Nooooo... Lakatos nooooooo! ;)
mi piace Ste quando filosofeggia. :-)
WOW! Interessantissimo post! Ch.mo prof. Sentimento Cuorcontento, spero tanto di poter legger presto la seconda puntata, intendo quella a proposito dei tortellini e non dei paradigmi... ;-) (con i tortellini una tinozza di Weißbier può andare?)
Hm. Weissbier. Buona, ma coi tortellini non saprei.
Il prof. Sentimento Cuorcontento scandalizzerà i puristi del Nebbiolo nelle sue varie declinazioni, ma deve confessare un debole per il Grasparossa... "Nivola" di Cleto Chiarli, per esempio ;-)
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