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martedì 17 aprile 2012

Pasqua nel pliocene

Proseguono le avventure in cui il prof. S.C. si avventura in discipline che non sono le sue, divertendosi come un balengo.
L'antefatto: Cuorcontento Jr. racconta da mesi di una gita scolastica dalle parti di Albenga, dalla quale aveva riportato alcune conchiglie fossili; gli sarebbe piaciuto da matti tornarci. Il posto si rivela essere il Museo Paleontologico Silvio Lai, nei dintorni di Ceriale, dove arriviamo il sabato di Pasqua dopo una breve digressione a vedere il centro per la riproduzione in cattività delle tartarughe autoctone della piana di Albenga (Emys orbicularis ingauna). A noi i weekend a Gardaland ci fanno un baffo.

Effettivamente dopo la visita del divertente piccolo museo si può fare un giro nel canalone del rio Torsero; quivi affiorano tra gli equiseti certi calcari, ci dicono, risalenti al pliocene. Troviamo qualche conchiglietta che il custode, dopo una rapida occhiata, ci lascia tenere, ma il divertimento verrà domani da un paio di manate di argilla in cui l'occhio di falco del prof. S.C. ha intravisto qualcosa. Per ora sono francamente indistinguibili da mezzo chilo di guano di albatro in un sacchetto di plastica, se non forse per l'odore appena meno pungente.

L'equipaggiamento del provetto paleontologo include un catino, un bricchetto per l'acqua, un paio di pinzette e un colino temporaneamente sottratto alla produzione di camomilla per i cuginetti più giovani: nella foto, le operazioni di setacciamento dei reperti. Ed ecco che dal guano di albatro dalle argille plioceniche viene fuori di tutto: guardate proprio in mezzo che bel Conus (credo), due Pecten scuri (o forse Chlamys? Mah.), altra roba varia (Naticarius, Semicassis, un pezzo di Murex, forse una Archa, delle Turricula, guardate quante ne so) e un mucchio di candidi piccoli scafopodi (forse). Tutto sta in un cucchiaino da tè, e avanza anche spazio per il tè: per intenderci, la conchiglia più grossa nella foto è lunga sei millimetri, e ha almeno tre milioni di anni: mica pizza e fichi.


Infine, grazie a una specie di fresa da manicure comprata per cinque euro sulla bancarella dei cinesi e a una mezz'ora di applicazione indefessa, dal cuore di un pezzo di calcare emerge un Dentalium (se non ci sbagliamo) un po' più grosso.

Ci siamo guadagnati il pranzo di Pasqua, credo.

1 commento:

Mauro ha detto...

Però tra balengo e Albenga c'è una certa assonanza ;-)

Scherzi a parte: conosco quei dintorni da secoli. C'è molto da scoprire nei paraggi...

Saluti,

Mauro.

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