Dopo lunga opera di persuasione, arrivata oramai alle minacce, la sig.ra Cuorcontento ha ieri persuaso il prof. S.C. a bonificare la cantina, resa poco salubre da un'invasione di topi.
Il topo si è poi rivelato essere uno solo, ormai secco come uno stoccafisso; in ogni caso, adesso la cantina è solo marginalmente meno igienica di una sala operatoria svizzera.
Le operazioni di scavo hanno però permesso di portare alla luce un pacco di libri illustrati della gloriosa Emme Edizioni, risalenti all'infanzia del prof. S.C. e creduti perduti da lungo tempo.
Sono libri meravigliosi: Lo zio con i baffi, raccolta di filastrocche di Bertolt Brecht, Il cavallino di fuoco di Vladimir Majakovskij illustrato dal pittore Flavio Costantini, La fiaba dello zar Saltàn, di suo figlio il glorioso e possente Principe e Cavaliere Guidone Saltanòvic e della leggiadra Principessa Cigno di Alexander Pushkin (l'infanzia del prof. S.C. è stata occasionalmente impegnativa...)
Ed ecco qui, proprio dalla favola di Pushkin, una delle illustrazioni di Ivan Bilibin, rifatevi gli occhi. Il libro è del 1970 circa, l'illustrazione del 1905; domenica prossima una di Costantini.
domenica 31 maggio 2009
sabato 30 maggio 2009
100 parole per la scienza
Come dicevamo, il prof. Sentimento Cuorcontento è andato a Venezia per la presentazione del libro prodotto dai ragazzi del progetto 100 parole per la Scienza, di cui vedete la copertina qui accanto.
Qualche tempo fa Marco Prunotto, il biologo del gruppo, ha scritto a Nature per raccontare del progetto. Biocurious, un blog americano, ha ripreso la lettera di Marco: trovate il suo commento qui.
Come ha detto Marco , adesso siamo un po' famosi per aver fatto una cosa intelligente. Mica roba da tutti.
Qualche tempo fa Marco Prunotto, il biologo del gruppo, ha scritto a Nature per raccontare del progetto. Biocurious, un blog americano, ha ripreso la lettera di Marco: trovate il suo commento qui.
Come ha detto Marco , adesso siamo un po' famosi per aver fatto una cosa intelligente. Mica roba da tutti.
Aa. Vv. 100 parole per... La scienza raccontata dai ragazzi. Venezia: Marsilio (2009)
giovedì 28 maggio 2009
Zio Tibia, le mutande e la bionda
Ormai secoli fa, durante un interminabile viaggio in treno fino a Bologna, il prof. Sentimento Cuorcontento si era lasciato andare a filosofeggiare indecorosamente. Aveva pontificato del falsificazionismo di Popper, delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn e ci eravamo lasciati con la minaccia di una seconda puntata. Ebbene, complice un altro interminabile viaggio in treno alla volta di Venezia, eccola qui.
Eravamo rimasti al punto in cui si confrontavano due visioni. Quella di Popper, secondo la quale sono scienza solo le affermazioni falsificabili, e quella di Kuhn, secondo il quale la scienza è una successioni di periodi di normal science e di periodi rivoluzionari detti cambiamenti di paradigma. Col cavolo, dice Kuhn, che gli scienziati passano la vita a provare a demolire le loro stesse teorie: nei periodi di scienza normale si limitano al puzzle solving, guardandosi bene dal mettere alla prova le impalcature portanti delle loro teorie. Popper si arrabbia moltissimo: così, dice, si rischia il disastro di sostituire un criterio razionale con uno (bleah) sociologico. Ehi, l’ha detto lui, non io, OK?
Adesso ve la racconto, ma date retta al prof. S.C. e andate poi a sentirvela dalla viva voce di Imre Lakatos: esiste infatti la registrazione di una famosa conferenza del 1973 intitolata Science and Pseudoscience, che si può ascoltare online qui. Se non siete tanto pratici con l’inglese parlato, qui si trova la trascrizione, ma ascoltate comunque la voce di Lakatos. Al di là dell’importanza del documento storico, ha esattamente lo stesso accento di Zio Tibia.
Tra l’altro, il testo della conferenza è inedito in Italia, ma il prof. S.C. a nome del CICAP ha ottenuto dalla LSE il permesso di tradurlo e pubblicarlo su Scienza&Paranormale, potrete leggerlo su uno dei prossimi numeri.
Avremmo tutti preferito la bionda, magari senza tante mutande, ma avevo promesso un esempio, ed ecco qui quello che fa Lakatos. La fisica Newtoniana non è semplicemente l’unione di quattro congetture (le tre leggi della dinamica più quella della gravitazione): queste sono solo il “nucleo”, che è protetto dalle mutandone pesanti di un sacco di ipotesi ausiliarie, magari un po’ ad hoc. Un pianeta non si muove come dovrebbe? La bionda di Popper, ingenua come si dice siano le bionde, suggerirebbe di prendere e buttare via tutto; noi che siamo uomini di mondo, invece, proviamo a vedere se mettendoci un pianeta in più i conti tornano. Et voilà, appena un astronomo va a guardare scopre Nettuno proprio lì dove doveva essere. Dice Lakatos:
Santo cielo. Che significa?
Una teoria scientifica di successo si distingue perché è altamente predittiva: è in grado di prevedere fenomeni non ancora osservati, che magari contraddicono le teorie rivali. Lakatos fa di nuovo un esempio legato alla fisica Newtoniana. Ai tempi di Newton esistevano due teorie sull’origine delle comete. La prima sosteneva che le comete erano un segnale che Dio aveva perso la pazienza e stava per passare ai fatti che, di solito, comportano pianto e stridore di denti. L’altra, di Keplero, ipotizzava che le comete fossero corpi celesti che si muovono in linea retta. Ora, se la gravità funziona come dice Newton, le traiettorie dei corpi celesti sono curve della famiglia delle coniche, di cui la linea retta è un caso molto particolare. Tra le coniche ci sono parabole e iperboli, che sono curve aperte: un oggetto che passi vicino alla terra seguendo una parabola non tornerà mai più. Ma le coniche includono anche le ellissi, che sono curve chiuse. Edmund Halley, misurando la parte visibile della traiettoria della cometa del 1682, scoprì che si muoveva proprio lungo un’ellisse, e che sarebbe ritornata vicino alla Terra dopo settantasei anni. Attenzione: il punto qui è che senza la teoria di Newton, il pezzettino di orbita misurato da Halley avrebbe potuto appartenere a qualunque curva, scarabocchi e ghirigori compresi. Halley poté prevedere una curva chiusa proprio perché Newton gli passava solo un menu striminzito: parabole, iperboli o ellissi, e che si aggiustasse lui. Passano settantasei anni ed eccola lì: le comete smettono di essere cazziatoni sovrannaturali (e, incidentalmente, anche di muoversi in linea retta).
Viceversa, un programma regressivo “inventa” teorie extra per accomodare fatti noti, e quando fa previsioni le fallisce, razionalizzando i fallimenti a posteriori (il prof. S.C. lascia ai lettori l’esercizio di trovare un esempio).
Avete capito? Per dirla tecnicamente, in un programma di ricerca progressivo ciascuna nuova teoria ha un contento empirico addizionale rispetto alla precedente, in un programma regressivo no.
E le rivoluzioni di Tom Kuhn, come lo chiama Lakatos, che fine hanno fatto? Semplicemente, tra programmi di ricerca rivali un po’ alla volta (o magari tutto assieme, così sembra di più una rivoluzione) gli scienziati si spostano verso quello che si rivela più progressivo degli altri, di fatto rimpiazzandoli. Così, dice Lakatos,
Ma forse i tempi sono maturi: chiacchierando per mail con il responsabile del “fondo Lakatos” alla London School of Economics, mi diceva che una rigorosa analisi Lakatosiana del creazionismo non c’è, e sarebbe molto interessante. C’è un epistemologo in sala?
Eravamo rimasti al punto in cui si confrontavano due visioni. Quella di Popper, secondo la quale sono scienza solo le affermazioni falsificabili, e quella di Kuhn, secondo il quale la scienza è una successioni di periodi di normal science e di periodi rivoluzionari detti cambiamenti di paradigma. Col cavolo, dice Kuhn, che gli scienziati passano la vita a provare a demolire le loro stesse teorie: nei periodi di scienza normale si limitano al puzzle solving, guardandosi bene dal mettere alla prova le impalcature portanti delle loro teorie. Popper si arrabbia moltissimo: così, dice, si rischia il disastro di sostituire un criterio razionale con uno (bleah) sociologico. Ehi, l’ha detto lui, non io, OK?
K. Popper “Reply to my critics” in P.A. Schilpp, The Philosophy of Karl Popper. La Salle: Open Court (1974)Spunta a questo punto Imre Lakatos, filosofo ungherese in forze, come Popper, alla London School of Economics. Lakatos definisce stunning, “mozzafiato”, come se fosse una stangona bionda, il falsificazionismo “ingenuo” di Popper e cerca di salvare capra e cavoli costruendone una versione più realistica. La teoria di Lakatos si chiama “sophisticated (methodological) falsificationism”, e già si capisce che è un po’ più complicata di quella di Popper.
Adesso ve la racconto, ma date retta al prof. S.C. e andate poi a sentirvela dalla viva voce di Imre Lakatos: esiste infatti la registrazione di una famosa conferenza del 1973 intitolata Science and Pseudoscience, che si può ascoltare online qui. Se non siete tanto pratici con l’inglese parlato, qui si trova la trascrizione, ma ascoltate comunque la voce di Lakatos. Al di là dell’importanza del documento storico, ha esattamente lo stesso accento di Zio Tibia.
Tra l’altro, il testo della conferenza è inedito in Italia, ma il prof. S.C. a nome del CICAP ha ottenuto dalla LSE il permesso di tradurlo e pubblicarlo su Scienza&Paranormale, potrete leggerlo su uno dei prossimi numeri.
Imre Lakatos, The methodology of scientific research programmes. Philosophical papers volume I and II. Cambridge: Cambridge university Press (1978) Tr. it. La metodologia dei programmi di ricerca scientifici. Milano: Il Saggiatore (1996)Veniamo al dunque. Primo punto: l’unità minima di descrizione e valutazione non è la singola ipotesi teorica, ma il “programma di ricerca”, cioè una sequenza di teorie che si evolvono nel tempo. Un programma di ricerca è fatto di tre pezzi: un “nucleo” di affermazioni che non sono in discussione (qualcosa di simile, anche se non esattamente, ai paradigmi di Kuhn); una serie di ipotesi ausiliarie più negoziabili che, nelle parole di Lakatos, costituiscono una “cintura protettiva” intorno al nucleo; infine un’euristica, ossia tutta una macchineria fatta di strumenti matematici e teorici che permette di “digerire” le anomalie trasformandole addirittura, talvolta, in prove a favore. Tra un momento vedremo un esempio e tutto sarà più chiaro, ma già si vede che si è persa un po’ della potenza e immediatezza esplicativa della biondona di Popper: per farla funzionare, bisogna mettere una specie di mutanda protettiva intorno alla teoria, e come tutte le mutande neanche questa è elegantissima.
La conferenza in questione è pubblicata in M. Motterlini (ed.) For and Against Method: Imre Lakatos and Paul Feyerabend. Chicago: University of Chicago Press (1999)
Avremmo tutti preferito la bionda, magari senza tante mutande, ma avevo promesso un esempio, ed ecco qui quello che fa Lakatos. La fisica Newtoniana non è semplicemente l’unione di quattro congetture (le tre leggi della dinamica più quella della gravitazione): queste sono solo il “nucleo”, che è protetto dalle mutandone pesanti di un sacco di ipotesi ausiliarie, magari un po’ ad hoc. Un pianeta non si muove come dovrebbe? La bionda di Popper, ingenua come si dice siano le bionde, suggerirebbe di prendere e buttare via tutto; noi che siamo uomini di mondo, invece, proviamo a vedere se mettendoci un pianeta in più i conti tornano. Et voilà, appena un astronomo va a guardare scopre Nettuno proprio lì dove doveva essere. Dice Lakatos:
Scientists have thick skins. They do not abandon a theory merely because facts contradicts it. They normally either invent some rescue hypothesis to explain what they then call a mere anomaly and if they cannot explain the anomaly, they ignore it.Secondo punto: per essere scienza, non basta essere un programma di ricerca. Chiameremo “scientifici” i programmi di ricerca progressivi, “pseudoscientifici” quelli regressivi (in inglese il termine è degenerating).
Santo cielo. Che significa?
Una teoria scientifica di successo si distingue perché è altamente predittiva: è in grado di prevedere fenomeni non ancora osservati, che magari contraddicono le teorie rivali. Lakatos fa di nuovo un esempio legato alla fisica Newtoniana. Ai tempi di Newton esistevano due teorie sull’origine delle comete. La prima sosteneva che le comete erano un segnale che Dio aveva perso la pazienza e stava per passare ai fatti che, di solito, comportano pianto e stridore di denti. L’altra, di Keplero, ipotizzava che le comete fossero corpi celesti che si muovono in linea retta. Ora, se la gravità funziona come dice Newton, le traiettorie dei corpi celesti sono curve della famiglia delle coniche, di cui la linea retta è un caso molto particolare. Tra le coniche ci sono parabole e iperboli, che sono curve aperte: un oggetto che passi vicino alla terra seguendo una parabola non tornerà mai più. Ma le coniche includono anche le ellissi, che sono curve chiuse. Edmund Halley, misurando la parte visibile della traiettoria della cometa del 1682, scoprì che si muoveva proprio lungo un’ellisse, e che sarebbe ritornata vicino alla Terra dopo settantasei anni. Attenzione: il punto qui è che senza la teoria di Newton, il pezzettino di orbita misurato da Halley avrebbe potuto appartenere a qualunque curva, scarabocchi e ghirigori compresi. Halley poté prevedere una curva chiusa proprio perché Newton gli passava solo un menu striminzito: parabole, iperboli o ellissi, e che si aggiustasse lui. Passano settantasei anni ed eccola lì: le comete smettono di essere cazziatoni sovrannaturali (e, incidentalmente, anche di muoversi in linea retta).
Viceversa, un programma regressivo “inventa” teorie extra per accomodare fatti noti, e quando fa previsioni le fallisce, razionalizzando i fallimenti a posteriori (il prof. S.C. lascia ai lettori l’esercizio di trovare un esempio).
Avete capito? Per dirla tecnicamente, in un programma di ricerca progressivo ciascuna nuova teoria ha un contento empirico addizionale rispetto alla precedente, in un programma regressivo no.
E le rivoluzioni di Tom Kuhn, come lo chiama Lakatos, che fine hanno fatto? Semplicemente, tra programmi di ricerca rivali un po’ alla volta (o magari tutto assieme, così sembra di più una rivoluzione) gli scienziati si spostano verso quello che si rivela più progressivo degli altri, di fatto rimpiazzandoli. Così, dice Lakatos,
On close inspection both Popperian crucial experiments and Kuhnian revolutions turn out to be myths: what normally happens is that progressive research programmes replace degenerating ones.Il problema, a questo punto, è che a noi sarebbe piaciuto avere un criterio di demarcazione affilato e micidiale, che bastasse guardare un creazionista negli occhi e sibilargli «infalsificabile!» per vederlo arrossire, chiedere scusa e correre a comprarsi tutti i libri di Pievani. Invece ci troviamo con questo arnese complicato e viene fuori che, a dar retta a Lakatos, bisogna star lì per anni a vedere come il programma evolve, se si arricchisce di contenuto empirico o no, magari dargli ancora un po’ di tempo, non si sa mai. Che fregatura.
Ma forse i tempi sono maturi: chiacchierando per mail con il responsabile del “fondo Lakatos” alla London School of Economics, mi diceva che una rigorosa analisi Lakatosiana del creazionismo non c’è, e sarebbe molto interessante. C’è un epistemologo in sala?
Paroline:
epistemologia,
pontificazioni,
scienza
In partenza per Venezia
Il prof. Sentimento Cuorcontento è di nuovo in partenza: questa volta per Venezia, dove parteciperà alla presentazione di un libro.
Un paio di anni fa la Fondazione per la Scuola (una "emanazione" della Fondazione San Paolo) e la Fondazione di Venezia hanno raccolto per quattro giorni sull'isola di S. Servolo un centinaio di ragazzi di vari licei d'Italia, una decina di insegnanti e quattro giovani ricercatori (un astronomo, una chimica e un biologo, un fisico) per un esperimento dal titolo 100 parole per la scienza: il prof. S.C. era il fisico della combriccola.
L'idea era che i ragazzi scegliessero cento parole per descrivere le nostre quattro discipline (da Acidi e basi a Vuoto), proseguendo poi il lavoro su una specie di Wiki nei mesi successivi: la pagina web del progetto è qui, fateci un giro se volete.
Ci sono voluti quasi due anni tra raccolta del materiale da parte dei ragazzi (che hanno un po' faticato, non avendo mai lavorato prima "online" in una collaborazione distribuita), redazione delle voci, revisione delle bozze, riunioni telefoniche per capire esattamente come fare, ma finalmente domani si terrà la cerimonia finale per presentare il libro che ne è uscito: vi racconterò.
Un paio di anni fa la Fondazione per la Scuola (una "emanazione" della Fondazione San Paolo) e la Fondazione di Venezia hanno raccolto per quattro giorni sull'isola di S. Servolo un centinaio di ragazzi di vari licei d'Italia, una decina di insegnanti e quattro giovani ricercatori (un astronomo, una chimica e un biologo, un fisico) per un esperimento dal titolo 100 parole per la scienza: il prof. S.C. era il fisico della combriccola.
L'idea era che i ragazzi scegliessero cento parole per descrivere le nostre quattro discipline (da Acidi e basi a Vuoto), proseguendo poi il lavoro su una specie di Wiki nei mesi successivi: la pagina web del progetto è qui, fateci un giro se volete.
Ci sono voluti quasi due anni tra raccolta del materiale da parte dei ragazzi (che hanno un po' faticato, non avendo mai lavorato prima "online" in una collaborazione distribuita), redazione delle voci, revisione delle bozze, riunioni telefoniche per capire esattamente come fare, ma finalmente domani si terrà la cerimonia finale per presentare il libro che ne è uscito: vi racconterò.
lunedì 25 maggio 2009
Probasti la mostra?
Il prof. Sentimento Cuorcontento si trova in questi giorni al CERN per fare penitenza dopo i lussi sibaritici di Serralunga d'Alba e Palau.
Probabilmente tutti sanno che è da poco uscito il filmone tratto dall'über-bestseller di Dan Brown Angeli & Demoni, in parte ambientato al CERN. O meglio, ambientato in un CERN che non esiste, carico di denaro al punto da potersi permettere uno spazioplano X-33 che permette a Langdon, il protagonista, di volare da New York a Ginevra in (mi pare) due ore: meno di quanto ci mette il prof. S.C. da Torino con il suoscassato ben collaudato Renault Kangoo. Il film devo ancora vederlo, mi dicono che non è male. Il libro è rimasto famoso per non aver azzeccato neanche una frase in italiano, da «Probasti il museo?» al leggendario «spazzare di cappella».
Ricordate tutta la pubblicità con la storia del buco nero che avrebbe divorato la terra all'accensione di LHC, che ne aveva parlato pure la divagatrice? Poi si è rotto e non è stato ancora riacceso (LHC, non il buco nero): quindi non siamo fuori pericolo, sia chiaro. Però l'ufficio comunicazione del CERN ha capito il trucco e si è buttato a pesce sulla nuova occasione. Già aveva messo su qualcosa quando era uscito il libro, ma ora ha fatto le cose in grande.
Ha invitato il regista e il cast a fare un giro al CERN, organizzato una proiezione in anteprima e pbblicato una pagina web chiamata nientemeno che angelsanddemons.cern.ch, vi suggerisco di dare un'occhiata alle video interviste. Infine, per non privarsi di nulla, ha messo su una piccola ma curata mostra al Globe de l'Innovation, che ho fatto un salto a guardare in un buco tra due riunioni.
Il Globe è un ex-padiglione di una esposizione tenuta a (mi pare) Losanna che il governo svizzero ha rifilato al CERN con la scusa di regalarglielo in occasione del cinquantenario ed è ora usato per iniziative varie. Qui accanto un paio di foto della mostra (cliccate per ingrandirle), una delle quali è una trasparente scusa per ritrarre la ragazza bionda.
La mostra è per lo più fatta di pannelli con foto e filmati, ma ci sono anche due "trappole" per antimateria: una è quella "portatile" usata nel film come bomba per far saltare il Vaticano, l'altra è un modellino di una vera trappola magnetica. Il bello è come hanno fatto a rappresentare le particelle di antimateria: sono spore di licopodio, nientemeno, con una leggera carica elettrica per tenerle sospese nel tubetto, illuminate con un laser verde. Quasi meglio dell'antimateria.
Probabilmente tutti sanno che è da poco uscito il filmone tratto dall'über-bestseller di Dan Brown Angeli & Demoni, in parte ambientato al CERN. O meglio, ambientato in un CERN che non esiste, carico di denaro al punto da potersi permettere uno spazioplano X-33 che permette a Langdon, il protagonista, di volare da New York a Ginevra in (mi pare) due ore: meno di quanto ci mette il prof. S.C. da Torino con il suo
Ricordate tutta la pubblicità con la storia del buco nero che avrebbe divorato la terra all'accensione di LHC, che ne aveva parlato pure la divagatrice? Poi si è rotto e non è stato ancora riacceso (LHC, non il buco nero): quindi non siamo fuori pericolo, sia chiaro. Però l'ufficio comunicazione del CERN ha capito il trucco e si è buttato a pesce sulla nuova occasione. Già aveva messo su qualcosa quando era uscito il libro, ma ora ha fatto le cose in grande.
Ha invitato il regista e il cast a fare un giro al CERN, organizzato una proiezione in anteprima e pbblicato una pagina web chiamata nientemeno che angelsanddemons.cern.ch, vi suggerisco di dare un'occhiata alle video interviste. Infine, per non privarsi di nulla, ha messo su una piccola ma curata mostra al Globe de l'Innovation, che ho fatto un salto a guardare in un buco tra due riunioni.
Il Globe è un ex-padiglione di una esposizione tenuta a (mi pare) Losanna che il governo svizzero ha rifilato al CERN con la scusa di regalarglielo in occasione del cinquantenario ed è ora usato per iniziative varie. Qui accanto un paio di foto della mostra (cliccate per ingrandirle), una delle quali è una trasparente scusa per ritrarre la ragazza bionda.
La mostra è per lo più fatta di pannelli con foto e filmati, ma ci sono anche due "trappole" per antimateria: una è quella "portatile" usata nel film come bomba per far saltare il Vaticano, l'altra è un modellino di una vera trappola magnetica. Il bello è come hanno fatto a rappresentare le particelle di antimateria: sono spore di licopodio, nientemeno, con una leggera carica elettrica per tenerle sospese nel tubetto, illuminate con un laser verde. Quasi meglio dell'antimateria.
mercoledì 20 maggio 2009
Il caso del galvanometro maledetto
Il corridoio del Dipartimento di Fisica Generale che il prof. Sentimento Cuorcontento percorre quasi tutti i giorni per raggiungere il suo sottoscala all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare non sembra proprio essere il posto adatto per un mystero goticheggiante con apparizioni di fantasmi e infestazioni spiritiche.
Eppure…
Chi in una notte di tregenda (o in qualunque altro momento, per la verità) si trovasse a passare per quel corridoio tappezzato da strati di poster di congressi passati e futuri potrebbe cogliere con la coda dell’occhio un movimento inaspettato ed inquietante. Ebbene sì, c’è un mystero in una delle vetrine allineate lungo il corridoio, che ospitano la collezione di strumenti del Museo di Fisica dell'Università.
Uno degli armadi contiene un prosaico galvanometro, uno strumento per rivelare e misurare la corrente elettrica. È proprio quello della foto qui accanto, registrato con il numero 28, ma la scheda del catalogo non dice granchè:
La data di costruzione è sconosciuta, anche se a occhio e croce potrebbe risalire ai primi anni del Novecento. Ma la cosa più importante non è riportata nel catalogo: il galvanometro è inquieto e maledetto, forse posseduto da un'entità disincarnata. Nonostante lo strumento non sia collegato ad alcun circuito elettrico, l’ago oscilla continuamente intorno alla posizione di equilibrio (che un urto o qualche altro incidente ha spostato un po’ a sinistra rispetto allo zero della scala, come si vede nella foto). Ed è da notare che nessuna delle due bobine intercambiabili (anche questo si vede dalla foto) è in posizione di lavoro, ossia alla stessa altezza del magnete mobile (l’astina quasi orizzontale all’altezza del perno).
Qui sotto, nel più puro stile «avvistamento di BigFoot», sgranato e tremolante, l'inquietante filmato del mysterioso manufatto.
Qual è la spiegazione del mystero? Sarà il fantasma di un tecnico del laboratorio didattico, folgorato molti anni fa dalla corrente misurata dallo strumento? O una intelligenza superiore starà cercando di mandarci un messaggio attraverso le oscillazioni dell’ago?
Il prof. S.C., tra i denti, deve confessare che non lo sa (ancora). Ho diverse ipotesi in mente, ma le più ovvie non mi sembrano tanto plausibili, e in ogni caso bisognerebbe verificarle. Intanto che le indagini continuano, vediamo se qualcuno trova una risposta?
(Grazie a Giorgio per la segnalazione!)
Eppure…
Chi in una notte di tregenda (o in qualunque altro momento, per la verità) si trovasse a passare per quel corridoio tappezzato da strati di poster di congressi passati e futuri potrebbe cogliere con la coda dell’occhio un movimento inaspettato ed inquietante. Ebbene sì, c’è un mystero in una delle vetrine allineate lungo il corridoio, che ospitano la collezione di strumenti del Museo di Fisica dell'Università.
Uno degli armadi contiene un prosaico galvanometro, uno strumento per rivelare e misurare la corrente elettrica. È proprio quello della foto qui accanto, registrato con il numero 28, ma la scheda del catalogo non dice granchè:
Lo strumento è costituito da una barretta magnetica basculante su cui è montato un ago che in condizioni di riposo sta in posizione verticale. Il magnete è immerso in una bobina che ha il compito di creare il campo magnetico proporzionale alla corrente che vi circola, campo che farà spostare il magnete dalla posizione di equilibrio orizzontale. Tale spostamento sarà immediatamente visualizzabile sul grosso indice.
È da notare che sono presenti due bobine intercambiabili a differente numero di spire in modo da avere fondo scala diversi. Lo strumento non è adatto a misure di precisione: il grosso indice fa pensare ad un utilizzo didattico.
Data di carico: sconosciuta
Nr. Inventario: Ignoto
Costruttore: Ignoto
La data di costruzione è sconosciuta, anche se a occhio e croce potrebbe risalire ai primi anni del Novecento. Ma la cosa più importante non è riportata nel catalogo: il galvanometro è inquieto e maledetto, forse posseduto da un'entità disincarnata. Nonostante lo strumento non sia collegato ad alcun circuito elettrico, l’ago oscilla continuamente intorno alla posizione di equilibrio (che un urto o qualche altro incidente ha spostato un po’ a sinistra rispetto allo zero della scala, come si vede nella foto). Ed è da notare che nessuna delle due bobine intercambiabili (anche questo si vede dalla foto) è in posizione di lavoro, ossia alla stessa altezza del magnete mobile (l’astina quasi orizzontale all’altezza del perno).
Qui sotto, nel più puro stile «avvistamento di BigFoot», sgranato e tremolante, l'inquietante filmato del mysterioso manufatto.
Qual è la spiegazione del mystero? Sarà il fantasma di un tecnico del laboratorio didattico, folgorato molti anni fa dalla corrente misurata dallo strumento? O una intelligenza superiore starà cercando di mandarci un messaggio attraverso le oscillazioni dell’ago?
Il prof. S.C., tra i denti, deve confessare che non lo sa (ancora). Ho diverse ipotesi in mente, ma le più ovvie non mi sembrano tanto plausibili, e in ogni caso bisognerebbe verificarle. Intanto che le indagini continuano, vediamo se qualcuno trova una risposta?
(Grazie a Giorgio per la segnalazione!)
martedì 19 maggio 2009
Eventually making it to...
OK, non bisogna fare troppe segnalazioni su un blog, meglio scrivere solo quando si ha qualche cosa da dire. Però magari non tutti leggono Piled Higher and Deeper, che piace tanto al prof. Sentimento Cuorcontento. E, dato che i proceedings che il prof. S.C. sta scrivendo dovevano esser consegnati venerdì scorso, il motto "The Power of Procrastination" mi è in questo momento molto caro.
E quindi, non originalissimo ma disgraziatamente realistico, fatevi un giro a leggere la striscia di oggi sul ciclo delle notizie scientifiche, dal paper accademico a vostra nonna.
E quindi, non originalissimo ma disgraziatamente realistico, fatevi un giro a leggere la striscia di oggi sul ciclo delle notizie scientifiche, dal paper accademico a vostra nonna.
lunedì 18 maggio 2009
Oxygen
Anche il prof. Sentimento Cuorcontento, la cui poliedrica cultura è proverbiale, di tanto in tanto scopre qualcosa che non conosceva.
Girovagando per la Fiera del Libro di Torino, e trovandomi a passare per lo stand di Codice Edizioni, ho scoperto una ganzissima rivista che sorprendentemente non conoscevo: Oxygen, dall'accattivante e un po' naïf sottotitolo La scienza per tutti. La naïveté si ferma al sottotitolo, perchè la rivista è molto, ma molto cool. Testo bilingue, immagini grandi, impaginazione chiara e ariosa, titoli trendy come "Twitter da Marte", una quantità di firme in qualche modo familiari: Telmo Pievani, Helga Nowotny, Marco Cattaneo, Mario Tozzi, Paola Catapano per citare solo quelli che mi vengono in mente ora. Attenzione alla multidisciplinarietà, all'arte, all'immagine, alla comunicazione, insomma un po' come Seed. Insomma, proprio come Scienza&Paranormale, la rivista del CICAP che ci stiamo sforzando di migliorare...
Non è molto pubblicizzata; sulla pagina web di Codice non se ne trova traccia, e il sito web oxygenmag.it ha solo l'immagine della copertina dell'ultimo numero (provate pure a cliccare, non succede niente). Ne ho prontamente comprato l'ultimo numero e sfogliati gli altri quattro o cinque, non è da molto che esiste. A quanto mi par di capire, la rivista nasce in collaborazione con l'ENEL, che aveva in qualche modo già partorito Golem l'indispensabile. Tanto di cappello.
Se una critica si può fare è che la rivista non è proprio "per tutti", dato che si riceve in abbonamento o si trova, se si è fortunati, nelle librerie Feltrinelli. In questo è davvero come Scienza&Paranormale. Ma la somiglianza è più profonda: interrogato sul perchè l'ultimo numero uscito risalisse al dicembre 2008 (la domanda in realtà è stata «ma esce ancora?»), un collaboratore di Codice mi ha risposto che sono molto in ritardo, sai com'è, ci sono stati dei contrattempi, e che sicuramente tra pochissimo ne usciranno due numeri a breve distanza uno dall'altro. Capita, a quanto pare, anche ai più cool. Menomale.
Girovagando per la Fiera del Libro di Torino, e trovandomi a passare per lo stand di Codice Edizioni, ho scoperto una ganzissima rivista che sorprendentemente non conoscevo: Oxygen, dall'accattivante e un po' naïf sottotitolo La scienza per tutti. La naïveté si ferma al sottotitolo, perchè la rivista è molto, ma molto cool. Testo bilingue, immagini grandi, impaginazione chiara e ariosa, titoli trendy come "Twitter da Marte", una quantità di firme in qualche modo familiari: Telmo Pievani, Helga Nowotny, Marco Cattaneo, Mario Tozzi, Paola Catapano per citare solo quelli che mi vengono in mente ora. Attenzione alla multidisciplinarietà, all'arte, all'immagine, alla comunicazione, insomma un po' come Seed. Insomma, proprio come Scienza&Paranormale, la rivista del CICAP che ci stiamo sforzando di migliorare...
Non è molto pubblicizzata; sulla pagina web di Codice non se ne trova traccia, e il sito web oxygenmag.it ha solo l'immagine della copertina dell'ultimo numero (provate pure a cliccare, non succede niente). Ne ho prontamente comprato l'ultimo numero e sfogliati gli altri quattro o cinque, non è da molto che esiste. A quanto mi par di capire, la rivista nasce in collaborazione con l'ENEL, che aveva in qualche modo già partorito Golem l'indispensabile. Tanto di cappello.
Se una critica si può fare è che la rivista non è proprio "per tutti", dato che si riceve in abbonamento o si trova, se si è fortunati, nelle librerie Feltrinelli. In questo è davvero come Scienza&Paranormale. Ma la somiglianza è più profonda: interrogato sul perchè l'ultimo numero uscito risalisse al dicembre 2008 (la domanda in realtà è stata «ma esce ancora?»), un collaboratore di Codice mi ha risposto che sono molto in ritardo, sai com'è, ci sono stati dei contrattempi, e che sicuramente tra pochissimo ne usciranno due numeri a breve distanza uno dall'altro. Capita, a quanto pare, anche ai più cool. Menomale.
venerdì 15 maggio 2009
Una dritta da Palau
Il prof. Sentimento Cuorcontento è ancora a Palau, ma il suo collegamento di rete è quasi inusabile (in occasione del G8 alla Maddalena, che è a un tiro di sputo da qui, dovevano tirare degli oleodotti di fibre ottiche verso il continente, evidentemente hanno spostato la sede prima...) e anche postare sul blog più di poche righe è un esercizio zen.
Per non lasciarvi senza niente da leggere, vi suggerisco questa meraviglia che prende per i fondelli l'amico Giacobbo, che se lo merita.
(Grazie a Mariano per la segnalazione!)
Per non lasciarvi senza niente da leggere, vi suggerisco questa meraviglia che prende per i fondelli l'amico Giacobbo, che se lo merita.
(Grazie a Mariano per la segnalazione!)
martedì 12 maggio 2009
È una vita durissima
giovedì 7 maggio 2009
Diciotto milioni di cucchiaini
Ho da poco finito di leggere Quirkology di Richard Wiseman, l'unico (come dicono le note biografiche) professore di Public Understanding of Psychology e personaggio ben noto a chi si occupa di paranormale e fenomeni strani in generale. Il libro, tratto da una popolare trasmissione, mi ha divertito parecchio (e ne riparleremo), anche se di tanto in tanto l'ipercritico prof. Sentimento Cuorcontento ha trovato che Wiseman salta un po' troppo rapidamente alle conclusioni: un difetto evidenziato ancora di più dal sottotitolo dell'edizione americana “How we discover the big truths in small things”.
Il titolo è perfetto: il libro racconta una quantità prodigiosa di studi di psicologia sperimentale su aspetti curiosi e spesso marginali del comportamento, direi senza una particolare tesi di fondo salvo il fatto che è interessante e istruttivo, oltre che divertente, studiare anche queste cose. Una lode sperticata da parte del prof. S.C. alla bibliografia, che riporta accuratamente i riferimenti di tutti gli studi citati: abitudine spesso trascurata nei libri di divulgazione.
Tanto per fare un solo esempio, si trova raccontato il lavoro di un gruppo di ricercatori del MacFarlane Burnet Institute for Medical Research di Melbourne, in Australia. Forse non tutti sanno che è molto diffusa in alcuni paesi (da noi non tanto) l'usanza di avere una stanza attrezzata a cucina ad esempio nei dipartimenti universitari, in modo da poter lasciare in frigo i panini per il pranzo o riscaldarli nel microonde, o fare quattro chiacchiere mentre si aspetta che sia pronto il caffè. Esiste tutta una fenomenologia di queste cucine, dalle misteriose muffe multicolori che compaiono nel frigorifero su robe mezze mangiate lasciate da un dottorando che ormai è professore associato in un altro continente, al divieto talvolta imposto di riscaldare odoriferi piatti a base di curry prima di metà mattina. Il fenomeno più noto, tuttavia, è quello della sparizione dei cucchiaini: che fine fanno, si sono chiesti i ricercatori australiani? Vengono, come suggerisce qualcuno, risucchiati un un'altra dimensione?
La cosa più sorprendente è che questo studio non è stato pubblicato su Strano ma vero! della Settimana Enigmistica, ma su una seria rivista scientifica.
Il professor Sentimento Cuorcontento, che passerà il weekend alle prese con un draft intitolato A prototype of a Virtual Analysis Facility: first experiences ha un po' il dubbio di aver sbagliato mestiere.
Richard Wiseman, Quirkology. The curious science of everyday lives. London: Macmillan (2007)Se non avete voglia di leggere il libro, fate magari comunque un giro per il sito quirkology.com, ci sono un sacco di esperimenti e di video interessanti.
Il titolo è perfetto: il libro racconta una quantità prodigiosa di studi di psicologia sperimentale su aspetti curiosi e spesso marginali del comportamento, direi senza una particolare tesi di fondo salvo il fatto che è interessante e istruttivo, oltre che divertente, studiare anche queste cose. Una lode sperticata da parte del prof. S.C. alla bibliografia, che riporta accuratamente i riferimenti di tutti gli studi citati: abitudine spesso trascurata nei libri di divulgazione.
Tanto per fare un solo esempio, si trova raccontato il lavoro di un gruppo di ricercatori del MacFarlane Burnet Institute for Medical Research di Melbourne, in Australia. Forse non tutti sanno che è molto diffusa in alcuni paesi (da noi non tanto) l'usanza di avere una stanza attrezzata a cucina ad esempio nei dipartimenti universitari, in modo da poter lasciare in frigo i panini per il pranzo o riscaldarli nel microonde, o fare quattro chiacchiere mentre si aspetta che sia pronto il caffè. Esiste tutta una fenomenologia di queste cucine, dalle misteriose muffe multicolori che compaiono nel frigorifero su robe mezze mangiate lasciate da un dottorando che ormai è professore associato in un altro continente, al divieto talvolta imposto di riscaldare odoriferi piatti a base di curry prima di metà mattina. Il fenomeno più noto, tuttavia, è quello della sparizione dei cucchiaini: che fine fanno, si sono chiesti i ricercatori australiani? Vengono, come suggerisce qualcuno, risucchiati un un'altra dimensione?
M.S.C. Lim, M.E. Hellard and C.K. Aitken “The case of the disappearing teaspoons: longitudinal cohort study of the diplacement of teaspoons in an Australian research institute” British Medical Journal 331:1498-1500 (2005)Bene, il risultato è che alla fine dello studio, dopo cinque mesi, l'80% dei cucchiaini marcati dai ricercatori era sparito. Il 36% dei partecipanti allo studio ha poi confessato di aver rubato almeno un cucchiaino nella sua vita, ed il 18% di averne rubato uno negli ultimi dodici mesi. La cosa sorprendente è però che si si estrapola questo valore alla intera popolazione lavorativa di Melbourne, viene fuori che ogni anno sparirebbero, nella sola Melbourne, qualcosa come diciotto milioni di cucchiaini. Oppure c'è il lavoro di un pioniere di questo genere di studi, il prof. John Trinkaus della City University of New York. Notando come spesso si perda un solo esemplare degli oggetti che sono utili solo in coppia (come i guanti o i calzini), Trinkaus ha accuratamente annotato il destino dei suoi guanti per un periodo di dieci anni, giungendo alla stupefacente conclusione che i guanti sinistri perduti eran più del triplo dei guanti destri. Trinkaus azzarda anche una spiegazione, che lascia dubbiosi sia il prof. S.C. sia, si legge tra le righe, lo stesso Wiseman. Non ve la racconto subito, vediamo se qualche lettore la indovina (o ne inventa una migliore).
La cosa più sorprendente è che questo studio non è stato pubblicato su Strano ma vero! della Settimana Enigmistica, ma su una seria rivista scientifica.
John Trinkaus, “Gloves as vanishing personal ‘stuff’: an informal look” Psychological Reports 84:1187-1188 (1999)Una rapida scorsa della bibliografia mostra come il prof. Trinkaus sia uno specialista di queste occhiate informali, avendo pubblicato “informal looks” su (nell'ordine) la preferenza sul colore delle scarpe da tennis, le previsioni sui temporali invernali da parte dei meteorologi televisivi, l'abitudine di portare berrettini da baseball, le combinazioni delle serrature nelle valigette ventiquattrore, il vizio di andare alle casse preferenziali nei supermercati con più di dieci articoli nel carrello (evidentemente di cruciale interesse, dato che vi ha dedicato anche un “second look”), gli eccessi di velocità in prossimità di una scuola, il rispetto o meno dei segnali di stop e la violazione dei divieti di sosta nei parcheggi dei centri commerciali.
Il professor Sentimento Cuorcontento, che passerà il weekend alle prese con un draft intitolato A prototype of a Virtual Analysis Facility: first experiences ha un po' il dubbio di aver sbagliato mestiere.
martedì 5 maggio 2009
È una vita dura
In questi giorni il prof. Sentimento Cuorcontento è a Serralunga d'Alba per un workshop, ospitato presso le Cantine Fontanafredda. No, giusto per suscitare un po' di invidia...
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